C’era una volta a Giaveno…Lou Mulin dou Detu.
L’antico storico mulino della Ruata Bassa di Giaveno, oggi al numero 8 di Via Beale, fu edificato nel 1218, quasi 800 anni fa.
Così racconta una targa ancora oggi parzialmente visibile sopra il vecchio portone di quercia all’ingresso del mulino.
Già mulino abbaziale, appartenuto ai monaci benedettini del monastero della Sacra di S. Michele, nel 1877 era stato acquistato e restaurato da Giai Via Benedetto (Lou Detu), proveniente dalla vicina borgata Tetti Via (lou Cant dou Tet).
Benedetto si era sposato a 50 anni con Maria Rosa Ostorero, di 30 anni. Dalla loro unione erano nati Giuseppe (Pinot, che continuò l’attività di mugnaio), Giovanni ed Elisa Effisia (la indimenticabile e ultracentenaria Magna Fisia).
Questo è uno dei più grandi e più antichi mulini della Val Sangone. Delle quattro macine di cui era composto, due macinavano solo grano, le altre due servivano per il granoturco, segala, avena, castagne e fave.
Fino al 1960 continuò a macinare grandi quantità di cereali, grazie a Pinòt (il nonno di Beppe Colombatti, attuale proprietario) e alle figlie di Pinòt, Maria Rosa e Rosanna, la mamma di Beppe.
Dal 1960 e fino al 1980 il mulino, gestito da Rosanna, ha continuato a macinare ma sempre più saltuariamente. Ormai il prezioso lavoro delle vecchie macine non veniva più richiesto come prima. I tempi stavano cambiando, e con essi le abitudini di consumo.
Fino a quando le vecchie pale della ruota hanno definitivamente fermato le ancora robuste macine.
Ma andiamo a scoprire come era fatto il “Mulin dou Detu”…
Una caratteristica particolare è proprio la grande ruota esterna, a pale metalliche, che gira in senso antiorario per lo scorrimento dell’acqua del canale, il “biàl” che arriva direttamente dal Sangone, mentre normalmente i mulini ad acqua ricevono l’acqua dall’alto.
La struttura delle macine è composta da un cassone esterno in legno, due ruote orizzontali, dette palmenti, e una tramoggia dove viene versato il prodotto da macinare.
Le ruote di pietra sono due per ogni macina: una è fissa, mentre la seconda, sospinta dalla forza trasmessa dall’acqua, gira sulla prima. Hanno diverso spessore e, a seconda del tipo di macinatura, vengono rigate o “martellate” con un apposito attrezzo a punte intercambiabili.
Dopo la macinazione del grano (o avena, granoturco, segale…) la farina ottenuta viene setacciata e raccolta nel cassone per poi essere distribuita nei sacchi, pesata a pronta per la vendita.
Nel periodo della seconda guerra mondiale, e poi ancora negli anni successivi, mamma Rosanna e l’infaticabile “magna Fisia”, con il mulo e il “cartoun” andavano a consegnare i sacchi di farina alle cascine, alle botteghe e agli abitanti di Giaveno e delle borgate.
Nel novembre 2016, quasi ottocento anni dopo la costruzione, le porte del “Mulin dou Detu” si riaprirono in occasione della festa di San Martino, patrono della borgata.
Una occasione, speriamo di buon augurio, affinchè il vecchio mulino torni a far cantare le sue macine.
Giuseppe Colombatti